Psiconcologa, “più attenzione alla paura di recidiva”
Dopo l’intervento e l’asportazione di un cancro al seno localizzato, si apre la fase della terapia adiuvante per ridurre il rischio che il tumore si ripresenti.
Si tratta di un tempo delicato, sospeso tra la malattia, che non c’è più, e la paura che possa tornare.
È un tempo fatto di incertezze e speranze in cui si continua l’assunzione di una terapia, di cui si devono gestire gli effetti indesiderati, e che richiede un adattamento a una nuova normalità che interessa tutti gli ambiti della vita quotidiana: casa, lavoro, relazioni sociali e affettive.
“Della paura della recidiva si parla poco - afferma Anna Costantini, past-president e consigliere nazionale Sipo, Società italiana di Psiconcologia - è uno dei bisogni meno attenzionati, meno corrisposti”, e che interessa “tutti i pazienti che si ammalano di tumore. La paura della recidiva, comunemente definita ‘spada di Damocle’, è una reazione normale a un evento che ha minacciato e, in qualche modo continua a minacciare, la vita. È presente anche in chi ha una prognosi ottimale e può realisticamente pensare a una guarigione”.
La prima cosa da sapere è che “la paura della recidiva può essere normale-lieve, moderata oppure grave, ed è importante riconoscerla, perché una paura della recidiva grave interferisce con le scelte di vita, con le relazioni, e richiede che la persona venga correttamente aiutata”.
La diagnosi di cancro, sottolinea Costantini, “apre sempre una crisi, che è una crisi esistenziale di riorientamento alla vita: cambia in qualche modo la prospettiva futura, perlomeno in un primo momento. Quindi si passa attraverso reazioni di shock, di paura, di riorientamento e, poi, alla ricerca di un aiuto.
 
       
     
                      