Tumore al seno e terapia adiuvante: un approccio condiviso

Oncologa, “percorso condiviso per gestire terapia adiuvante”

Affrontare un tumore al seno significa intraprendere un percorso terapeutico complesso, che va ben oltre la chirurgia e chemioterapia per ridurre il rischio che, una volta asportato, si ripresenti. Anche dopo una diagnosi di cancro localizzato, tra le armi fondamentali c’è la terapia ormonale adiuvante, un trattamento che riduce in modo significativo il rischio di recidiva e mortalità, ma che spesso suscita paure e dubbi nelle pazienti per i possibili effetti sulla qualità della vita.

“Il primo impatto che la paziente ha, e la sensazione che prova nel momento in cui deve iniziare una terapia ormonale adiuvante, è un misto tra paura e voglia di iniziare. C’è il desiderio di ridurre il rischio di recidiva, ma anche la paura degli effetti collaterali”. Così Roberta Caputo, dirigente medico, Unità Ssd Ricerca clinica e traslazionale in senologia Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione G. Pascale, Napoli, sottolinea l’importanza fondamentale di un “percorso condiviso e possibilmente multidisciplinare” che si crea nel dialogo. “La paziente deve sentirsi parte di un progetto che - ricorda - è diverso per ciascuna” e in cui non è mai “lasciata sola”. Anche nella gestione di effetti collaterali, “abbiamo le armi per ridurre al minimo le tossicità dei trattamenti e, nella maggior parte dei casi, ci riusciamo”.

Le domande sono sempre le stesse, ma cambiano con l’età.

“Le più giovani - continua l’esperta - temono la menopausa indotta, la perdita della fertilità” - anche se il desiderio di maternità in molti casi è solo procrastinato - “e la sensazione di invecchiare precocemente. Le donne in menopausa, invece, chiedono: ‘ingrasserò? Avrò dolori?’. In questi casi un approccio multidisciplinare e l’uso di terapie complementari possono aiutare molto nel supportare le pazienti, giovani e meno giovani”.
La terapia adiuvante del cancro localizzato comprende chemioterapia, radioterapia e trattamento ormonale, la cui scelta dipende dal sottotipo tumorale. Ne esistono principalmente “tre: il luminale ormonoresponsivo, che rappresenta il 60-65% dei casi; l’Her2 positivo e il triplo negativo - chiarisce Caputo - nei tumori luminali, la terapia ormonale è il cardine del trattamento adiuvante”.
Per i tumori Her2 positivi, “si usano farmaci biologici e chemioterapici”, mentre per i tripli negativi, più aggressivi, “è previsto un approccio prevalentemente chemioterapico e, in alcuni casi, immunoterapico”.

 

Non tutte le pazienti ricevono lo stesso trattamento ormonale. “La terapia ormonale adiuvante classica comprende antiestrogeni e inibitori dell’aromatasi - illustra l’oncologa - Nelle donne in premenopausa può essere associata agli analoghi dell’LhRh. Ma negli ultimi anni abbiamo a disposizione nuove soluzioni terapeutiche, tra cui gli inibitori delle cicline, che rappresentano un’evoluzione fondamentale nella riduzione del rischio di recidiva, soprattutto nelle pazienti a rischio intermedio-alto”. Un dato importante da ricordare è che “i tumori ormonoresponsivi possono recidivare anche a distanza di 20 anni dalla diagnosi. Ecco perché è cruciale calibrare bene la durata della terapia che, in alcuni casi, oltre ai classici 5 anni, può essere prolungata fino a 7-10 anni”. Gli inibitori delle cicline attualmente indicati si assumono per bocca e richiedono un monitoraggio iniziale più attento. “Sono terapie orali che la paziente può prendere a casa - precisa Caputo - ma necessitano di controlli laboratoristici frequenti, soprattutto nei primi mesi, per monitorare possibili alterazioni del sangue o della funzionalità epatica”. L’oncologa sottolinea l’importanza di un rapporto di fiducia: “Informare le pazienti su cosa aspettarsi è fondamentale per evitare ansie inutili in caso di effetti collaterali nella maggior parte dei casi gestibili, come diarrea o alterazioni ematiche”.

Una delle sfide principali resta l’aderenza terapeutica.

Nelle donne giovani l’assunzione regolare della terapia nei dosaggi prescritti “può essere minacciata dagli effetti collaterali della menopausa farmacologica: vampate di calore, secchezza vaginale, alterazioni dell’umore - descrive l’esperta - ma se correttamente informate, le pazienti – soprattutto queste giovani pazienti – sono spesso molto motivate e determinate a portare avanti la terapia per ridurre il rischio di recidiva. Il nostro compito - evidenzia - è aiutarle a mantenere una buona qualità di vita, che consenta loro di lavorare, occuparsi della famiglia, vivere la propria quotidianità. Se questo richiede una riduzione di dosaggio o un cambio di molecola, non dobbiamo avere timore di farlo. Il benessere della paziente viene prima di tutto, ma è importante “evitare il fai da te” - avverte - e concordare con lo specialista eventuali cambiamenti di dosaggi” perché si rischia di compromettere l’efficacia della cura.

L’approccio empatico è parte della comunicazione della diagnosi, ma serve un approccio multidisciplinare anche nella gestione della terapia adiuvante.

“Ricevere una diagnosi di tumore al seno può essere devastante - rimarca Caputo - Bisogna saper comunicare correttamente, spiegare non solo il tipo di tumore, ma anche lo stadio e la prognosi, per accompagnare la paziente in un percorso terapeutico condiviso e consapevole”, privilegiando un approccio multidisciplinare, come è tipico delle breast unit. “Oggi sappiamo che oltre all’informazione - continua - a fare davvero la differenza, nella gestione degli effetti collaterali legati alla terapia ormonale per il tumore al seno, è un approccio che non si limita alla prescrizione farmacologica, ma che integra strategie comportamentali e di benessere globale, migliorando sensibilmente la qualità della vita. Ad esempio - elenca - l’attività fisica ha effetti positivi su diversi aspetti della salute: migliora il benessere psicologico; aiuta a gestire le vampate di calore; contrasta l’aumento di peso legato ai trattamenti ormonali, mantenendo un indice di massa corporea (BMI) adeguato; riduce dolori articolari e muscolari, in particolare quelli causati dagli inibitori dell’aromatasi”.

Un altro aspetto importante riguarda l’alimentazione.

“Molte pazienti ci chiedono spontaneamente indicazioni su questo tema - aggiunge Caputo - Seguire i principi della dieta mediterranea, mantenendo un corretto apporto nutrizionale e un peso corporeo adeguato, può aiutare a controllare alcuni effetti collaterali della terapia. Infine, esistono strategie complementari supportate da studi clinici. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, ad esempio, si è dimostrata utile per affrontare disturbi legati alla sfera sessuale e al cosiddetto ‘annebbiamento mentale’, un fenomeno che alcune pazienti sperimentano a causa della terapia ormonale o dei trattamenti chemioterapici precedenti. Anche pratiche come lo yoga o l’agopuntura - conclude - possono contribuire ad alleviare dolori osteo-articolari e a favorire il benessere generale”.

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